di Sonia Berti
Per 75 italiani su 100 gli strumenti di tutela contro la violenza sono inefficaci. Cosa si può fare per invertire questi numeri?
Il 5 ottobre 2016 aveva ucciso la donna con cui aveva una relazione da un mese. L’aveva fatto volontariamente, strangolandola a mani nude.
La condanna in primo grado era stata di 30 anni per omicidio aggravato da motivi abietti e futili. Poi la Corte d'appello di Bologna aveva dimezzato la pena. Tra i motivi, anche una plausibile “tempesta emotiva” determinata dalla gelosia.
Ad uccidere Olga Matei, però, non era stato un raptus. Ma un uomo. In carne, ossa e volontà. Eppure la sua pena è stata ridotta e con la riduzione degli anni di carcere si riduce anche la fiducia negli strumenti protettivi e di contrasto alla violenza. L’indagine realizzata da Ipsos, d’altra parte, ci dice che per 75 italiani su 100 gli strumenti sono inefficaci.
Cosa si può fare per invertire questi numeri?
Una possibile risposta si può trovare in #hodettono/2, l’ebook edito da Il Sole 24 Ore, patrocinato dal dipartimento per le Pari opportunità. Da venerdì scaricabile gratuitamente on line.
Nel piccolo saggio di Alley Oop si spiega come, dal punto di vista normativo, le donne italiane siano tutelate grazie alla legge 119/2013 che prevede la ratifica della Convenzione di Istanbul e grazie a un piano strategico anti violenza per il triennio 2017-2020. Il progetto, che è in via di attuazione, prevede un approccio multidisciplinare ai tre pilastri della legge del 2013, cioè prevenzione, punizione dei colpevoli e protezione delle vittime.
Tra le lacune da colmare però, oltre al ddl Pillon, di cui abbiamo già parlato, che sembra andare nella direzione inversa, c’è l’assoluta mancanza di coordinamento tra processo penale e civile. Se le donne vittime di violenza faticano a trovare giustizia, il problema sta nell'applicazione delle norme. Si considerino, ad esempio, i rischi che corre una donna che va a denunciare, rispetto all'affidamento dei figli.
Un altro problema, poi, sta nell'insufficienza di investimenti e risorse destinati alla formazione di chi lavora a contatto con le donne vittime di violenza. Secondo i dati del Csm, il 31% delle procure ha sezioni o collegi specializzati; nei tribunali invece la percentuale scende al 17 per cento.
Le donne vittime di violenza hanno bisogno di sostegno, anche economico. Ma anche gli uomini violenti hanno bisogno di percorsi di recupero. Attenzioni piccole, ma fondamentali perché il cambiamento sia davvero profondo e condiviso.
pubblicato su ConboniFem