Concorso nel delitto per suocero e genero stranieri che costringono la minore a sottostare ai voleri del promesso sposo secondo il costume di dominio maschile del loro Paese d'origine – Sentenza, 29 settembre 2016
Finisce in carcere per maltrattamenti in famiglia e concorso in violenza sessuale il padre della minore tollerante nei confronti del promesso sposo che, invece di vigilare sulla figlia, permette al futuro genero di abusarne, costringendola ad avere rapporti intimi contro la sua volontà.
Lo sancisce la Cassazione con la sentenza n. 40663/16, pubblicata oggi dalla terza sezione penale. Gli “ermellini” accolgono il ricorso del procuratore contro la sentenza del gup che dichiarava colpevole un uomo, di origini bengalesi, che ha patteggiato la pena di un anno e dieci mesi di carcere per maltrattamenti ai danni della figlia minore e concorso in violenza sessuale col genero.
Il giudice, però, dichiarava assorbito il reato di violenza sessuale nel reato di maltrattamenti in famiglia, perché il comportamento del padre non coincideva con la volontà di abbandonare la minore «alla condotta violenta del fidanzato-promesso sposo», ma piuttosto, era «espressione di una modalità maltrattante che trova le sue radici nella formazione culturale».
È per questo motivo che il procuratore impugna la decisione e ricorre in Cassazione: la domanda è fondata. L’uomo è colpevole quanto il genero delle violenze perpetrate ai danni della figlia per aver creato un clima di sopraffazione sessuale «dettato dalla convinzione che per effetto del matrimonio, ma anche per effetto del pregresso fidanzamento organizzato dall’imputato, tutto fosse consentito al genero sul piano sessuale nel segno di un dominio assoluto da esercitare sulla ragazzina onde assoggettarla ai suoi desideri sessuali».
Il triangolo familiare «che vede protagonisti, da un lato, suocero e genero tra loro alleati in una sorta di patto di ferro che doveva vedere la ragazza assoggettata per effetto del vincolo paraffettivo creato dall’uomo, ai voleri sessuali del promesso sposo e dall’altro, la minore, vittima sacrificale in ossequio a regole non scritte di legittimità del dominio sessuale per effetto del vincolo matrimoniale secondo i costumi indiani, fa sì che l’imputato debba in realtà considerarsi soggetto tenuto a vigilare sulla figlia minore per evitare che la stessa potesse subire le violenze sessuali che pure la ragazza aveva avuto modo di denunciare ripetutamente al padre rimanendo inascoltata». E infatti, il genitore che esercita la potestà sulla figlia minore ha una specifica posizione di garanzia che lo porta a rispondere «ex articolo 40 cpv Cp, a titolo quindi di causalità omissiva, degli atti di violenza sessuale compiuti in danno del minore nei cui confronti riveste quella specifica posizione di garanzia, purché sia a conoscenza dell’evento o in grado di conoscerlo, e ancora, sia a conoscenza dell’azione doverosa su di lui incombente e abbia la possibilità oggettiva di impedire l’evento». Il collegio accoglie il ricorso del procuratore e annulla senza rinvio la sentenza impugnata: gli atti tornano al tribunale.